INTERVISTA A UNA SIGNORA UCRAINA AL MAPPAMONDO

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INTERVISTA A UNA SIGNORA UCRAINA AL MAPPAMONDO, CHE L’HA CONOSCIUTA ORMAI TRE ANNI FA SOSTENENDOLA NELL’INTEGRAZIONE SUL TERRITORIO E NELLE QUESTIONI EDUCATIVE E QUOTIDIANE

Ci sediamo l’una di fronte all’altra, mascherate, come da Covid si conviene. Nell’altro locale di Mappamondo si sta distribuendo il cibo, le persone entrano con un sorriso grande sul volto, e certe volte non possiamo che interromperci per osservarlo e sorridere a nostra volta di riflesso.

Nonostante la fatica che leggo negli occhi di A., la trovo sorprendentemente serena. Quando poi comincia a raccontare, capisco di aver letto male, non è serenità, ma una maschera che indossa da chissà quanto tempo.

Mi parla immediatamente della guerra, e che i suoi genitori sono vivi, per fortuna.

Le chiedo di fare un passo indietro, e di raccontarmi di lei.

E’ venuta in Italia diversi anni fa, quando, ormai trentenne e con un figlio, visto la difficoltà a trovare lavoro dopo la chiusura della fabbrica in cui lavorava ha deciso di tentare la sua fortuna in Italia. Con un macchina, tramite un conoscente -che sottolinea essere una persona ben diversa da un’amica-, dopo un lungo viaggio è arrivata a Como. Da sola, lasciando il figlio a casa coi nonni, per non esporlo a rischi troppo grandi.

Ogni giorno è stato una fatica, ogni giorno un dolore, alla ricerca di una linea telefonica per poter parlare con il suo bambino in ogni minuto libero che aveva. Qualche lavoretto, poi diversi mesi senza far nulla, senza mangiare, con l’angoscia di non farcela e dover tornare indietro con il suo fallimento.

Poi, è arrivato un lavoro come badante, una casa in condivisione, una situazione un pochino più stabile. Allora ha potuto ricongiungersi con suo figlio, portare anche lui in Italia. Gli ha insegnato le lettere e le cifre, e pian piano a leggere qualche cosa di semplice. Le stesse cose che aveva imparato lei nei mesi precedenti, con grande impegno, per potersi inserire al meglio in un luogo che non le apparteneva. Lo ha fatto bene, tanto che suo figlio, nonostante fosse già grandicello, ha potuto inserirsi nella classe scolastica in linea con la sua età, dopo un breve test per comprendere il suo livello. Anche per lui è stato difficile, mi racconta A., era solo, per il semplice fatto che non comprendeva la lingua e quindi tutto quello che gli stava attorno. Poi pian piano ha cominciato a “parlare”, e le cose sono andate meglio. “I bambini gli facevano molte domande sul luogo da cui veniva, Cerniutsi, e lui si sentiva importante”.

Da allora le cose per loro sono andate abbastanza bene, anche se non sono ancora cittadini italiani e non hanno la residenza.

Cerco di comprendere meglio il suo passato, ma A. vuole parlare di oggi, del presente, della guerra che sta devastando il suo paese e non me la sento di darle torto.

Mi racconta dei suoi genitori, che sono riusciti a raggiungerla in Italia il primo giorno dopo lo scoppio delle ostilità. Sua mamma è malata, e dopo due giorni in auto aveva gli arti così gonfi da non riuscire a scendere dalla vettura. Non hanno portato che poche cose con loro, non c’è stato tempo. “In un attimo, non c’è più niente. La tua casa, le tue cose, tutto scomparso.”.

Mi rendo conto che continuo a commentare le sue frasi con la parola “Immagino”, ma che non è del tutto vero: mi terrorizza solo l’idea di immaginare davvero cosa stanno passando, cosa stanno vivendo.

Ora la preoccupazione di A. è per suo fratello, che sta cercando in questo momento di uscire dai confini con la sua compagna e il bambino di due anni. A. mi racconta che non lo faranno passare, lui è un uomo, serve sul fronte, deve combattere. E la sua compagna non vuole lasciarlo, ha paura, il bambino è così piccolo e ha bisogno di entrambi i genitori.

Io l’ho rassicurata, ma ha paura. Le ho detto che gli italiani stanno aiutando tanto, che se si sta qui non c’è da preoccuparsi perché gli italiani sono brave persone, organizzate e disponibili ad aiutare” mi dice, e mi fa sorridere,  non so bene se per la sua buona fede, la sua innocenza o per il mio realismo cinico che fatica a mandar giù le sue parole.

Ma lei continua il suo racconto.

Mi sono raccomandata con mio fratello di non tornare mai a casa, perché arriva la lettera della guerra e poi deve andare a combattere, ai nostri vicini è già arrivata”, mi confida. Non posso che pensare che certe cose sono come me le raccontava il mio nonno, ai periodi della guerra nazi fascista. Anche lui scappava e non poteva tornare a casa perché l’avrebbero mandato al fronte, e lui non ci voleva andare. E di nuovo un commento dal cuore: come dargli torto. La guerra è veramente una cosa vecchia, da certi punti di vista.

E, indubbiamente, è un grande schifo.

Interrompe i miei pensieri, nelle sue parole non c’è rabbia né rimpianti.

La pace deve essere in tutto il mondo”, mi dice con gli occhi che sorridono, “non bisogna creare problemi, ma cercare di stare bene. Qui non si parla solo di Ucraina. Si parla di famiglie che rimangono lì, che non possono scappare e che vengono ammazzate. Ma bisogna essere forti e sperare che questo finirà presto”.

La guardo sbattendo gli occhi, non so cosa dire, mi sembra di essere Alice in un mondo che mi è sconosciuto. Nell’incubo, anche e comunque Alice in un mondo meraviglioso, perché non ci sono solo persone che fanno la guerra, ma anche persone che inneggiano alla pace, alla vita, al coraggio e alla speranza.

E questo è il grande insegnamento che A. mi ha regalato oggi, e che mi darà da riflettere per i giorni futuri.

Il seme della speranza va continuamente coltivato, per poter lasciare davvero qualcosa di bello e di migliore ai nostri figli.

Veronica

I RICORDI DI NATALE DEI NOSTRI RAGAZZI

In questo momento difficile, dove è facile vedere tutto nero, dove sembra che le libertà siano lese e che il pericolo sia davvero più che mai dietro l’angolo, abbiamo provato a chiedere ai nostri ragazzi, ormai grandi, che hanno vissuto parte della loro vita in FATA, che ricordi e sensazioni avevano dei Natali trascorsi insieme. Queste alcune delle risposte, che volevamo condividere con voi perché dense di affetto e significato, di speranza e di senso.

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“Il Natale anche adesso mi ricorda gli anni passati in FATA, pure adesso che sto scrivendo mi viene il sorriso sul viso, pensando a cene fatte la vigilia di Natale, le risate, i pranzi fatti a casa della Isa… mamma mia come dimenticarli! Di una cosa sono sicura che i natali passati in comunità non li dimenticherò mia! E’ grazie a loro che ho scoperto cosa Significa l’amore l’affetto il calore che un “genitore dovrebbe darti”. I miei 5 anni lì sono stati wow ❤️” Christelle

“Mi ritrovo qua tra me e me, pensando al Natale, e mi vengono in mente molte cose; un po’ diverse da quelle che verrebbero in mente agli altri…Sono un ragazzo ormai quasi adulto (ho 26 anni), anche GRAZIE alla mia permanenza per un periodo all’interno di FATA, del quale non ho altro che BELLISSIMI ricordi e di cui tutt’ora ne sento molto la malinconia anche se mi sono capitati momenti di sconforto.
Ma, grazie al continuo e costante sostegno dei miei compagni di vita, e ancor più alla vicinanza di tutti gli educatori che per me non sono stati educatori, ma parte di me, ogni volta che aprivo gli occhi al mattino dentro quella casa non potevo far altro che essere felice perché ero circondato da persone con cui AMAVO e loro altrettanto…
In FATA ho vissuto, anche se per poco purtroppo, una mini adolescenza fantastica … Anche se con alle spalle situazioni particolari…Ma lì dentro, il “particolare” non lo pensavo più…
È per questo dico che per me il Natale è mettere lo spirito all’interno di un barattolo e poterlo tirare fuori mese per mese, poco alla volta…
Perché sono uscito con quest’idea che sembra minima, ma non lo è: il tempo vissuto in Comunità mi ha permesso di riempirmi un mio bagaglio fino ad arrivare all’orlo, dove poi quando mi sono ritrovato a vivere la vita da solo, anzichè portarmi dietro un bagaglio pesante, mi porto dietro questo barattolo mettendomelo in tasca… e poco alla volta lo apro e ritrovo tutta la potenzialità che ho acquisito vivendo in comunità. Questo è ciò che il mio cuore mi fa uscire. Un abbraccio forte.” Marcello

Il Natale in comunità è uno dei ricordi che non dimentico facilmente, pieno di amore, felicità, tanti regali, e un po’ di spensieratezza per tutti!
Un unione di culture e usanze diverse!
E soprattutto un’accoglienza famigliare che ogni tanto ne risento tutt’ora ❤️
Debora

Natale in comunità: quando uno pensa al Natale pensa a cenoni in famiglia, tombola e gioia. In comunità tutto questo è triplicato; Tanti giochi per i bambini, tanta gioia, tanta serenità, sembra strano ma è così. I miei Natali migliori li ho vissuti in comunità, tra amicizie e tanto tanto amore.
Vale

Storie di Fata | Intervista a Valentina

Intervista a Valentina, neomamma di Fata

A partire dalla metà del mese di gennaio, avranno inizio gli appuntamenti di  Aspettando te! e Il diario di una mamma, due cicli di incontri durante i quali, con l’aiuto di una psicologa, sarà possibile creare uno spazio sicuro di condivisione, ascolto e confronto.

Abbiamo voluto parlare di questo progetto a Valentina, una giovane mamma di 22 anni, un tempo ospite di Fata e che è venuta a trovarci insieme alla sua bimba di 21 mesi, Eva.

 

Ciao Valentina, grazie per essere venuta qui da noi per questa chiacchierata! Grazie a voi, mi ha fatto davvero piacere che mi abbiate invitato.

– Allora, per prima cosa, raccontaci di te, della tua gravidanza e dell’esperienza di neomamma emamma…Come ben sai sono diventata mamma molto giovane, ma nonostante ciò la mia è stata una gravidanza cercata e voluta. I miei genitori non sono mai stati molto presenti e questo ha fatto sì che io abbia iniziato a desiderare una famiglia tutta mia molto presto. Inoltre, durante la gravidanza, ho dovuto affrontare tante difficoltà fisiche ed emotive, interrogandomi spesso sul ruolo che la mia madre biologica ha avuto per me.

– Visto che hai parlato della tua madre biologica, che ruolo ha avuto lei e che ruolo ha giocato invece la tua mamma affidataria non solo durante la gravidanza ma anche successivamente? La mamma naturale non c’è stata, ho chiuso i rapporti con lei per il mio bene e quello di mia figlia, a cui ho deciso di non raccontare della mia vita precedente; posso raccontare del periodo trascorso in comunità e della mia famiglia affidataria, ma non delle sofferenze che ho vissuto prima. La famiglia affidataria, al contrario mi è stata molto vicina. Quando vivevo con i miei genitori affidatari i rapporti non sempre erano facili, ma a 18 anni ho deciso di andare a convivere con il mio compagno e loro sono stati d’accordo. Nel momento in cui sono diventata madre sono riuscita a capire il perché delle regole che mi avevano dato e se prima i rapporti erano complessi, ora sono migliorati. Loro, così come i miei suoceri, mi sono sempre rimasti vicino, sia in gravidanza che dopo la nascita della bambina, per la quale sono dei nonni a tutti gli effetti.

– Quindi ritieni sia importante che una mamma possa contare su un aiuto concreto? Certamente! Non è facile la vita di un genitore perché a volte non ti senti adatto per svolgere quel ruolo, spesso non riesci nemmeno ad interpretare ciò che tuo figlio appena nato ti sta chiedendo. Basta poco per perdere il raziocinio, se per esempio tuo figlio si fa male o piange senza che tu riesca a capire il motivo non sei in grado di ragionare lucidamente così da trovare la giusta soluzione.

– Da mamma, quali sono stati, soprattutto inizialmente, i sentimenti dominanti in te? Ho provato tanta stanchezza, paura, ansia… ad un certo punto oltre all’insicurezza è emerso anche il senso di colpa perché spesso, a causa dello stress, raggiungi il limite e non ti comporti come vorresti con i tuoi figli, però loro ti amano comunque, facendoti capire di essere umano.

– Senti Valentina, abbiamo parlato di come hai vissuto la tua prima gravidanza e la tua prima volta da mamma, ma adesso aspetti un’altra bambina, è esatto? Sì,  adesso aspetto un secondo figlio e sono terrorizzata dal parto, però, rispetto alla prima volta, avrò una ragione in più per affrontare questa prova perché non solo sarò io a non vedere l’ora di conoscere mia figlia, ma vorrò anche fare questo regalo a tutta la mia famiglia, alla sua sorellina e al suo papà.  Sicuramente stavolta affronterò questa esperienza con maggiore consapevolezza: se quando aspettavo Eva andavo in ansia per le visite e ogni settimana guardavo tutti i video, adesso è diverso, adesso so già cosa mi aspetta. Certo, ogni tanto riaffiorano i dubbi: mi domando come Eva reagirà all’arrivo della sorellina, se questa volta a differenza della prima sarà utile seguire dei corsi preparto…

– Come mai con Eva hai deciso di non seguire corsi? Pensi che adesso il confronto con altre mamme e l’aiuto di un esperto potrebbe esserti d’aiuto? La prima volta non ho voluto seguire corsi preparto, ma solo un progetto di rilassamento. Con il senno di poi, penso che mi sarebbe piaciuto confrontarmi con altre mamme, soprattutto con quelle giovani come me, perché spesso siamo giudicate superficialmente dalla gente senza che questa vada al di là delle apparenze. In realtà, quando è nata Eva, sono rimasta in contatto con un’altra mamma conosciuta in ospedale, però lei era più grande. Spesso ci sentiamo ancora, lei è molto più apprensiva. Prima anche io mi preoccupavo di più, ma adesso ho imparato a controllarmi e a trovare soluzioni semplici.

– Diciamo che la prima gravidanza sarà per te un termine di paragone per la seconda… Esatto, questa volta, oltre a confrontarmi con altre mamme, potrò anche fare il confronto fra la mia prima e la mia seconda gravidanza. Quello che però non farò è confrontare tra loro le mie figlie. Il paragone è ammesso, ma ogni bambino è diverso e ha le sue caratteristiche. È più un confronto che può essere utile a me stessa, per le mie sensazioni e per non ripetere più gli errori fatti in precedenza. Poi ovviamente, come ogni mamma seguirò il mio istinto…

E le mamme che sbagliano? È perché non hanno seguito il loro istinto? Vuoi dire che la tua mamma naturale non ha saputo seguire il suo? Quando lei mi ha lasciato evidentemente non era pronta per essere madre e il suo istinto in quel momento è stato quello di staccarsi da sua figlia. È stato il suo più grande gesto d’amore.

– La comunità, quindi, è stata per te una risorsa? Io non parlo apertamente della comunità, però non è stata una brutta esperienza, è stata una risorsa perché mi ha dato una famiglia: prima la comunità stessa, poi la mia famiglia affidataria e infine il mio compagno con cui a mia volta ho costruito una nuova famiglia.

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SUPEREROI E PRINCIPESSE

Gabriele e Federica sono stati accolti nella Casa di Fata nello stesso periodo, 6 anni di età e due storie diverse alle spalle ma entrambi difficili, di abbandono e dolore.

Insieme hanno scoperto la serenità di un posto sicuro e protetto, dove nessuno poteva più far loro del male, la gioia di sentirsi accolti, amati e accuditi e la tranquillità derivante da una routine giornaliera (la colazione, la scuola, la merenda tutti insieme…) che donava sicurezza.

Insieme hanno imparato a fidarsi di nuovo degli adulti, hanno imparato che il mondo poteva essere un posto bello e felice e che intorno a loro potevano trovare tanti educatori che si prendevano cura di loro per davvero e tanti bambini che potevano diventare nuovi compagni di giochi e di vita.

Gabriele e Federica erano molto diversi: un maschietto intelligente e curioso, che amava giocare a calcio, leggere Harry Potter e sognare con i supereroi e una bimba che adorava le principesse, la danza e le favole a lieto fine, affettuosa e bisognosa di coccole. Due bambini con caratteri molto diversi, ma accomunati dallo stesso desiderio di famiglia.

Non è stato sempre facile infatti per loro crescere in una comunità, vedere altri bambini, che con il tempo erano diventati come fratelli, avere la gioia di una nuova famiglia, mentre loro diventavano grandi e il futuro rimaneva incerto.

Insieme hanno anche imparato a reagire, a diventare coraggiosi e resilienti: bambini speciali con risorse speciali, un po’ fatati.

A 12 anni hanno ricevuto insieme la gioia più grande, proprio come nelle favole: Gabriele ha trovato una famiglia desiderosa di adottarlo, nonostante non fosse più piccolissimo, due genitori con cui è nato da un subito un legame forte e speciale.

Federica ha invece trovato una coppia generosa che ha deciso di accoglierla in affido, di offrirle la possibilità di poter sperimentare cosa vuol dire vivere in una famiglia vera, la gioia di avere due nuovi genitori a cui potersi affidare e con cui poter crescere.

Gabriele e Federica: un piccolo grande supereroe e una dolce principessa ballerina che hanno avuto la gioia di vedere il loro sogno più grande realizzarsi e a cui auguriamo il futuro più bello che le favole possono regalare.

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Intervista alla nostra cuoca

La cuoca della CASA DI FATA vi racconta la sua storia e la ricetta di un suo piatto forte

 

Da quanto tempo lavori in fata?

Dal 2001, quindi sono 17 anni, un bel pezzetto di vita.

 

Cosa si respira a tavola durante la cena?

Una gran baraonda J Il clima non è troppo ordinato ma con tanti bambini come può esserlo? C’è più un clima di festa perché i bambini amano molto il momento della cena, raccogliersi intorno al tavolo tutti insieme.

 

Cosa è cambiato nel tempo?

All’inizio i bambini erano pochi, la prima comunità ospitava solo 5 bambini, adesso sono molti di più e a cena a volta arriviamo ad essere anche in 20 con educatori e volontari. Abbiamo fatto anche tante feste  con bambini, volontari, dipendenti per cui ormai dopo tanti anni sono abituata a cucinare per tante persone e mi piace. L’unico problema è che a volte siamo un po’ stretti essendo così tanti quindi ci dobbiamo dividere (un gruppo in sala e uno in veranda).

 

Uno dei ricordi più belli?

Sono tanti…il primo che mi viene in mente è un ricordo dei primi tempi che ero qui…c’era questo bambino piccolo a cui io ero molto affezionata, era  sul triciclo che mi guardava e a un certo punto mi dice “Sai che tra 15 giorni vedo il mio papà e andiamo al ristorante?”…mi ha fatto tanta tenerezza perché sapevo che non era vero, il papà non l’aveva mai riconosciuto. A volte li portavo anche a casa ed era molto bello per me.

Anche quando è arrivato il primo bambino è stato bellissimo: Fata ha aperto a settembre nel 2001 ma per 5 mesi non abbiamo avuto bambini. Noi credevamo tanto in questo progetto, in questa iniziativa e quando è arrivato O., il primo bambino, è stato bellissimo e molto emozionante. Poi piano piano ne sono arrivati altri fino ad arrivare ad oggi che non abbiamo abbastanza posti letto per tutti. I ricordi belli sono tanti, tutti i momenti di festa con i bambini o quando ci siamo trasferiti nella nuova comunità, dove siamo ora, che è uno spazio grande e bello, con il cortile per i bambini…

A volte mi sento un po’ stanca, sento che ho bisogno di riposo, ma poi quando sono a casa ho voglia di venire dai bambini, mi piace il mio lavoro, vengo sempre contenta a lavorare anche dopo tanti anni. Per me cucinare per questi bambini è una coccola, mi piace tanto. Anche perché mi danno tanta soddisfazione, rimango sempre stupita dal fatto che mangiano tutto con gusto, anche le verdure! La cosa più assurda è mi chiedono sempre tutti il bis del minestrone, della pastasciutta magari no ma del minestrone sempre.

 

Un bambino che ti è rimasto nel cuore?

M., perché è arrivato piccolino ed è stato il primo bambino ad andare via in adozione. Non ero abituata come ora al fatto che i bambini potessero andare via, quindi ho pianto tanto. Poi con il tempo mi sono abituata e ho imparato ad essere contenta per loro quando se ne vanno perché so che vanno a stare bene con una nuova famiglia.

Ero molto affezionata anche a G. ed E. che quando sono arrivati erano molto piccoli, avevano pochi mesi.

Sono affezionata a tutti ma quando arrivano che sono molto piccoli, il distacco è più difficile.

 

La ricetta di un tuo piatto forte?

Facciamo il tiramisu che ai bambini piace tanto.

Io mescolo 10 tuorli con 10 cucchiai di zucchero e, separatamente, monto a neve i  10 albumi. Poi aggiungo 1 kg di mascarpone ai tuorli con lo zucchero e mescolo tutto aggiungendo anche gli albumi montati. Poi faccio il caffè, bagno i savoiardi nel caffè e faccio gli strati; alla fine copro tutto con il cacao amaro. E’ una ricetta semplicissima ma ai bambini piace tanto e me lo chiedono in continuazione.

 

 

 

Intervista a una famiglia appoggio

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  • Che tipo di affido state facendo?

Da circa un anno stiamo facendo da famiglia appoggio per un bambino di dieci anni. (Le famiglie appoggio accolgono un bambino in momenti precisi della giornata o per momenti particolari e si offrono come un punto di riferimento e di sostegno,  come figure di adulti positive. La famiglia appoggio permette inoltre di far sperimentare al bambino un contesto familiare sano e sereno, in modo che sia poi in grado di riproporlo da adulto *ndr)

 

  • Che cosa vi ha spinto a diventare famiglia appoggio, quale è stata la vostra motivazione?

E’ stata quella di poter dare aiuto a un bambino: pensavamo di avere del tempo da dedicare, delle energie da poter offrire a questo scopo

 

  • Avete pensato a come l’esperienza del affido poteva migliorare o peggiorare la vostra vita?

Pensavamo che potesse migliorare la nostra vita, pensavamo che avere un altro elemento nelle nostra famiglia potesse essere un  completamento per noi. Potevamo inoltre sentirci utili aiutando un bambino a crescere, aiutandolo a sperimentare  la normalità, la realtà di una famiglia  diversa da quella a cui era abituato.

 

  • Avete voglia di raccontarci brevemente la vostra quotidianità con questo bambino?

Il bambino arriva da noi durante la settimana, di sera, accompagnato da una educatrice della comunità. Quando arriva di solito ha già cenato per cui abbiamo tempo per stare insieme. Pensavo che quest’ora prima di andare a dormire corresse velocemente e che non avessimo tempo in realtà di fare molto, invece mi sono resa conto che abbiamo la possibilità di fare attività anche ripetitive ma che a lui permettono di entrare in un contesto di  vita ordinaria. Piccoli attività manuali, la lettura e la visione di cartoni animati sono piccole cose che veramente fanno sentire una famiglia. In ogni caso siamo in casa, siamo in un contesto familiare e questo gli permette di percepire la quotidianità e la normalità di una famiglia. Non c’è nulla di straordinario, non facciamo uscite particolari ma siamo una costante a cui può fare riferimento.  Al mattino lo riportiamo in comunità.  Un paio di volte alla settimana invece andiamo noi a prenderlo a scuola e cena insieme a noi. In questo modo abbiamo un po’ più tempo per stare insieme, spesso ci dedichiamo alla cucina e il sabato mattina o la domenica mattina ci capita di fare i dolci insieme. Questa è un’attività che vedo che lo entusiasma. Altre volte facciamo cose semplicissime come uscire per andare al parco insieme a portare fuori il cagnolino e anche questo vedo che è un’attività che a lui piace moltissimo.

 

  • Se dovesse pensare a tre difficoltà in questa esperienza di famiglia appoggio, quale sono? Quale potrebbero essere?

La maggiore difficoltà è relativa al fatto di dover garantire una presenza costante soprattutto al mattino per riportarlo in tempo per andare a scuola. Ci vuole un po’ di impegno, un po’ di serietà in questo ma si tratta di difficoltà facilmente superabili. Le eventuali attività da fare insieme sono inoltre da pensare con un po’ di anticipo, da valutare e non si può improvvisare. Un’altra difficoltà è relativa al fatto di dover affrontare qualche momento di tristezza nel bambino, rendersi conto che magari ha qualche pensiero per la testa: questo magari mette un po’ di difficoltà perché non sai come porti la maniera migliore.

 

  • Invece se vi dovessi chiedere tre aspetti positivi di questa esperienza? Quale potrebbero essere?

E’ un esperienza molto appagante perché comunque lui entra sempre in casa in maniera gioiosa. E’ sempre contento quando arriva e al mattino mentre si prepara in bagno canta. Lo vedo un completamento del nostro essere famiglia e vedo che anche da parte sua rappresentiamo la stessa cosa. Questo è sicuramente l’aspetto positivo più grande. Si vede che il bambino è un libro con delle pagine bianche e gli fa piacere scriverle insieme a noi. Tante cose per lui sono LA prima volta: di fronte a queste prime volte non ha un atteggiamento di repulsione ma le accetta, si dimostra curioso e questa è una cosa bella. Un’altra cosa meravigliosa è poter vedere i progressi, vederlo cambiare. In un anno lo abbiamo visto proprio migliorare. Poi ci sono altri aspetti positivi come il rapporto che ha instaurato con l’altro figlio che abbiamo, con il nostro figlio biologico.

 

  • Avete in mente un gesto che il bimbo che avete in appoggio ha fatto con voi o per voi che vi ha lasciato stupiti in maniera positiva?

Mi ha stupito positivamente che dopo un po’ di mesi una mattina quando si è svegliato d’impulso mi ha abbracciato.  Anche se poi non si è ripetuto, ho sentito che proprio mi vuole bene e mi ha colpito la spontaneità di quel gesto. Penso alle piccole cose, al fatto che ha preso le piccole abitudini della nostra famiglia, le ha assorbite, se ne è appropriato…la colazione in una certa maniera, la tazzina in certo modo…ecco già dalla colazione mi accorgo che è parte della nostra famiglia.

 

  • In questa esperienza di appoggio, siete supportati, siete seguiti?

Sicuramente siamo seguiti della comunità di Fata. E’ utile perché c’è molta collaborazione sia a livello organizzativo che psicologico per aiutarci a capire gli aspetti comportamentali del bambino. E’ anche di aiuto il fatto di sapere di poter contare su un supporto anche se in questo momento il bambino è talmente tranquillo che non ne necessitiamo. Sapere però che nell’eventualità ci si può rivolgere alla comunità ed avere il loro supporto è importante.

 

  • Ci son altre cose che volete aggiungere? Riflessioni?

Penso che lo rifarei. Lo rifarei sicuramente, è un’esperienza che ti apre la mente verso un mondo che prima non conoscevi.  C’è un velo di tristezza nel pensare alle situazioni che ci sono dietro però sono realtà che esistono e non sarebbe neanche giusto mettersi le fette di salame sugli occhi.

 

MARCELLO: DA FATA A VIGILE DEL FUOCO

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Mi chiamo  Marcello, e ora ho 23 anni e vivo a Castano Primo, in provincia di Milano.

Per tre anni e mezzo, da quando avevo 11 anni, ho vissuto in Fata e dico con gioia che ho avuto e ho tutt’ora la soddisfazione di aver vissuto e di esser cresciuto in una grande famiglia, dove ho potuto fare un grande percorso di vita e imparare moltissime cose.

Grazie alla comunità sono riuscito a trovare nella mia esistenza tutta quella positività che non riuscivo a trovare da solo, ma che sono riuscito invece ad avere grazie agli educatori, ai volontari e anche ai compagni che affrontavano con me quella stessa avventura.

Dopo il mio percorso in comunità sono rientrato a casa più forte, ho affrontato tutte le varie vicissitudini che ho incontrato e ho lottato per realizzare un sogno di quando ero bambino: il 27 aprile mi hanno decretato vigile del fuoco! Sto ancora studiando, ma il mio obiettivo è quello e sono determinato a raggiungerlo.

Essere cresciuto in questa enorme famiglia piena di attenzioni e impegno verso il prossimo mi ha permesso di tirarmi su ritrovando serenità e sicurezza, dandomi la fiducia di poter credere in me e nei miei sogni…Anche oggi, a distanza di tanti anni, ogni volta che arriva un nuovo giorno, apro gli occhi e mi ricordo pezzo per pezzo la mia vita vissuta assieme a persone speciali…E dentro me li amo come una famiglia!!

Un’abbraccio a tutti!!!!!!!

Marcello

UNA CAMPIONESSA tra di noi: piovono medaglie!

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Sabato 25 febbraio 2017 si è svolta la prima gara di Acrogym a livello agonistico per la nostra piccola S.

Grande era l’entusiasmo e l’emozione nel vedere la nostra giovane atleta mentre sfilava con la sua squadra Idrostar Gym: il suo sorriso e il portamento elegante ci hanno reso ancor più orgogliosi di essere lì con lei, per darle il nostro supporto.

  1. si è esibita in due coreografie, in coppia con due diverse atlete della sua squadra: queste giovani ginnaste hanno dimostrato di essere all’altezza della competizione, eseguendo i vari esercizi e le acrobazie con grande abilità.

I volontari presenti hanno fatto per noi numerose foto per immortalare questi momenti e noi tutti, coi bambini presenti, abbiamo fatto un gran tifo, con l’entusiasmo che ci caratterizza.

Che orgoglio vederti sul podio, piccola S, con la medaglia al collo del Primo e Secondo posto.

Vederti brillare come una stella ti ha ripagato di tutti gli sforzi e l’impegno di questo periodo! Brava piccola stella gialla e blu!!!!!!

La storia di Erika: un amore di bambina

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Erika è arrivata in FATA da una comunità mamma-bambino. A due anni si trovava in uno stato di abbandono fisico ed emotivo, la sua mamma era malata e sotto psicofarmaci e non riusciva ad occuparsi di lei con le dovute cure. La bimba era molto autonoma, si coccolava e persino si cantava le ninne nanne da sola. Sul suo papà non aveva mai potuto contare più di tanto, nemmeno quando erano a casa insieme, anche se quel periodo era durato molto poco. Quello che tutti notavano in Erika, oltre una grande irregolarità, per cui non aveva orari, stava sveglia di notte e dormiva a lungo di giorno e non mangiava correttamente, era una sensibilità particolarissima, in grado di cogliere le sfumature dell’umore dell’adulto e di adattarsi al suo stato d’animo. Probabilmente aveva dovuto fare allenamento, con una mamma un po’ imprevedibile come la sua.

Col trascorrere del tempo, Erika comincia a trovare all’interno dell’equipe educativa dei punti di riferimento, si rasserena, si stabilizza e tira fuori tutto quel lato spensierato e divertente che inizialmente teneva un po’ nascosto. Diventa una bambina solare, con due occhi brillanti e pieni di energia, amata da tutti i compagni della comunità e dagli adulti che con lei si interfacciano, volontari ed educatori. E’ indubbiamente anche una bambina molto determinata e testarda, con un carattere molto forte.

Inizialmente vede i genitori in Spazio neutro, poi però questi incontri le provano sofferenza e così i Servizi Sociali e il giudice stabiliscono che per lei la strada migliore è quella dell’adozione.

Trovano per lei due genitori molto coraggiosi e volenterosi, che devono mettere in gioco molte delle loro capacità e tirar fuori molta pazienza perché Erika fa molta fatica a lasciare la comunità e le persone che si sono prese cura di lei fino a quel momento. La coppia è molto unita, e riesce a rispettare i tempi della bambina, più lunghi di quello che si pensava inizialmente.

Erika ora è con dei nuovi genitori, persone speciali che l’hanno voluta profondamente e che ad oggi ritengono che lei sia un dono speciale, uno di quelli che fa pensare che il Natale viene anche in altri momenti dell’anno, se lo si cerca con gli occhi del cuore.

PIETRO E STEFANO, FRATELLI IN CERCA DI UNA MAMMA E UN PAPA’

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Pietro e Stefano sono proprio piccini quando arrivano in comunità. Mancano cinque giorni a Natale, ma per loro, che hanno solo diciotto e sei mesi, ancora è un giorno come tanti altri.

Entrano in un ambiente completamente nuovo, con tanti altri bambini e tante educatrici, dopo essere stati lasciati dai genitori al Servizio Sociale. Mamma e papà non riuscivano a occuparsi di loro, erano in difficoltà, non capivano quale fosse davvero il bene dei loro bambini e hanno preferito chiedere ad altri di prendersene cura.

Da subito sono apparsi due bimbi con caratteri molto diversi e con modalità differenti di approcciarsi all’altro.

Stefano, di sei mesi, non mangiava e non dormiva, era stato poco stimolato, non era abituato al contatto fisico, non faceva mai sorrisini e non seguiva neanche con lo sguardo chi cercava di parlargli.

Pietro, al contrario, era tutto abbracci e baci, affamato d’affetto. Non gli interessava chi fosse l’adulto che aveva davanti, bastava che lo guardasse e lui gli si gettava in braccio con entusiasmo, ricercando un po’ di affetto e di amore.

Durante la permanenza in comunità, i fratellini hanno costruito relazioni importanti con adulti che si sono piano piano scelti. Stefano è diventato meno diffidente e ha imparato a giocare con gli altri bimbi. Pietro, è diventato più selettivo, imparando a non ricercare amore da tutti, ma a scegliere le persone per lui speciali con cui legare. Entrambi hanno imparato a fidarsi degli adulti.

Hanno fatto un percorso di crescita non solo emotiva, ma anche fisica, aiutati anche da incontri di psicomotricità che hanno permesso loro di acquisire più sicurezza e più fluidità nei movimenti, recuperando una parte di insegnamenti che loro non avevano vissuto.

Inoltre nel tempo hanno continuato a incontrare i genitori, dapprima abbastanza spesso, poi pian piano sempre meno. E’ apparso chiaro che non ci sarebbero state le basi per una ricostruzione di un’unità familiare solida e positiva e che il futuro per i fratellini, per essere roseo, doveva essere indirizzato altrove.

Per loro alla fine è arrivato, dopo il secondo Natale trascorso in comunità, il momento di affrontare la nuova bellissima avventura dell’ adozione.

Il tribunale ha scelto di tenerli insieme, trovando per loro una famiglia senza figli, con molto entusiasmo e molte energie, che indubbiamente sono servite per costruire coi bambini un rapporto. All’inizio non è stato facile. Entrambi hanno messo alla prova i nuovi genitori, per assicurarsi di potersi affidare e fidare, per essere certi che queste persone non li avrebbero abbandonati di nuovo da qualche parte, che non si sarebbero arresi davanti ai loro aspetti più faticosi e difficili da gestire, che li avrebbero amati sempre e comunque.

La famiglia è stata bravissima, li ha accolti con coraggio e fermezza. Ha trovato un’armonia coi i bambini, collaborando anche con le educatrici che hanno accompagnato questo avvicinamento.

 Ora è trascorso un mese da quando sono andati via insieme, per iniziare la nuova vita.

Sembra proprio che sia nata una nuova famiglia desiderosa di fare tante cose insieme e di vivere al meglio tutte le fatiche e le gioie che si troveranno davanti. In bocca al lupo, piccoli fratellini!